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Se paghi ci sei. Quanto costa la promozione di se stessi?

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se paghi ci sei! Totò, e io pago!

di Silvia Valenti

 

 

Se paghi ci sei… ma davvero? Essere alle prime armi significa letteralmente imbracciare ad esempio un fucile senza averlo mai fatto in precedenza. Da principianti agli esordi. Questo motto ci dice pertanto che, seppur novellini, disponiamo di mezzi per difenderci.

Ma gli artisti in fregola di successo dispongono davvero – novellini o meno – di strategie efficaci contro gli attacchi di un mercato troppo aggressivo? Io faccio riferimento al Gioiello Contemporaneo e a ciò che lo “circuisce”; la mia riflessione, però, calza a pennello per altre arti, figurative e non.

Penetrare il mercato con il proprio prodotto, oggi, credendo ciecamente nella sua valenza, è pura utopia. Intuiamo che alle nostre spalle dovrebbero ergersi delle strutture solide in grado di supportarci e promuoverci finché non avremo gambe abbastanza forti per correre da soli. E anche allora, come tanti Forrest Gump, passeremmo dallo stringere la mano a un presidente alla pesca dei gamberi.

Oltre le istituzioni, gli enti, le fondazioni deputati a prendersi carico del percorso tecnico-culturale di un autore, ci sono i musei, le gallerie, le associazioni… E poi, come stelle lucenti del firmamento che attraggono la curiosa ammirazione e la brama di ognuno, occhieggiano quegli organismi, frutto di abili studi di mercato, che si presentano come assi nella manica risolvendo i problemi dell’immagine e della comunicazione, inarrivabili per le nostre risorse individuali. Il contraccambio è un “piccolo” contributo economico.

Chi crea gioielli riceve frequenti telefonate con offerte allettanti per mostre in luoghi ambiti, per pubblicazioni su testi illustri. Mentre la voce suadente dall’altra parte della cornetta ti elenca una serie di fantastiche opportunità, la tua autostima si inorgoglisce, per crollare poi a terra come un caco marcio sulla cifra che ti viene richiesta in compenso dei decantati servizi. Non vi è nulla di male in una simile proposta, tranne il fatto che ci sei perché paghi.

Ciò che colpisce è la traballante etica di questo tipo di sfruttamento ormai legalizzato. La persona coinvolta, e in qualche modo informata su quello cui va incontro, è responsabile delle sue scelte. L’inghippo sta nel solleticare il desiderio di apparire a tutti i costi, tipico della nostra società, e motore primo di tante delusioni. Il successo dei social network ne è una prova lampante.

L’era digitale ci laurea protagonisti. C’è chi dipinge, chi suona, chi fa il fimo, chi scrive, chi crea gioielli… Siamo un esercito in crescita. Molti di noi hanno buone qualità e propensioni; altri dovrebbero darsi all’ippica (con scarsi risultati anche lì probabilmente). Eppure, a parte un po’ di sarcasmo, la questione sta proprio nel business costruito sul numero sterminato di soggetti alla ricerca di affermazione. Gli imperi che ne scaturiscono sono di carta velina, trasparenti sì, ma, soprattutto, precari.

Nasce spontanea la domanda: “I grandi autori del gioiello contemporaneo come hanno fatto a diventare quello che ora sono?”. Anni di studio, di pratica, di concorsi (spesso all’estero), di selezioni superate o meno, di pubbliche relazioni calibrate. La via è spesso quella dell’umiltà e dell’abnegazione. L’umiltà serve ad aggiustare la rotta, l’abnegazione diviene sorella di una full immersion colma di pathos. Ore e ore al banchetto, al tavolo da disegno, tentando di scarnificare idee troppo fiorite o di intrecciare linee e forme in giochi singolari.

Tanto ci sarebbe da dire sull’argomento e varie sono le attitudini creative declinate in plurimi linguaggi. Procedendo nell’inchiesta, alla fine gli interpellati rispondono che bisogna mettersi alla prova, cercare di insinuarsi in un circolo virtuoso che premi l’intelligenza accanto all’ingegno e al genio.

La via per far conoscere il proprio lavoro non è, dunque, unicamente quella che passa attraverso il portafoglio; è un cammino tortuoso che ci vede a volte sconfitti, a volte vincitori.

Smettiamola di buttare il danaro nelle tasche dei mangiafuoco di turno. Smettiamola di foraggiare chi, millantando selezioni inesistenti a fronte di un pagamento, ci fa esporre i nostri pezzi migliori in paradossale compagnia di indicibili e palesi prese per il sedere.

Ecco, ora ci è chiaro che le armi da imbracciare sono i nostri strumenti di lavoro e la nostra determinazione. Qui si pone, comunque, un ulteriore spinoso quesito.

Vada per i concorsi seri, vada per le gallerie che vogliono veramente rappresentare il lavoro dell’uno o dell’altro, vada per i progetti costruiti per allargare la conoscenza e la comprensione di questa o di quell’arte, a patto che ci interroghiamo su dove vogliamo arrivare e come ci vogliamo arrivare.

Sono rientrata da poco da Monaco, trasformatasi per una settimana nella capitale del Gioiello Contemporaneo grazie a Schmuck: un’esperienza sconvolgente in termini di qualità, varietà e numero di esposizioni ed eventi. Per chi, come me, si occupa di questa “materia” scrivendo e creando, affrontarne de visu lo sfaccettato universo è stato impagabile.

I motivi sono duplici: poter quasi toccare con mano oggetti che normalmente si svelano sulla carta stampata dei cataloghi talvolta poco clementi con i pezzi, talaltra troppo; lasciarmi coinvolgere a 360 gradi nella comprensione del background di un autore. In quei giorni, passati tra artisti di punta del panorama attuale, galleristi, editori, manager…, ho colto un presupposto inconfutabile: non sempre il talento aiuta, le public relations e i contatti giusti, invece sì. Sono, infatti, le chiavi adatte ad aprire portoni immensi.

Torniamo perciò a bomba, alla spinosa questione del mentoring. I neofiti del settore non hanno di sicuro né le capacità né le reti di conoscenze di alcuni autori affermati; di conseguenza si affidano, scendono a compromessi, sgomitano ed escludono i colleghi illudendosi che il loro fare passi inosservato. Come si può, in questo sistema soggettivo, privo di paletti e regole, trovare il bandolo della matassa? E quali parametri applica chi si arroga il diritto di dire tu sì e tu no?

Beh, chi non ha il santo in paradiso, apre il portamonete ed entra nel gioco, perchè se paghi ci sei!; chi non ha consistenti disponibilità economiche aspetta che qualcuno si accorga del suo talento e chi ha il santo in paradiso dovrà dimostrare di valere effettivamente qualcosina, altrimenti il suo balzo in avanti sarà direttamente proporzionale al tonfo che ne potrebbe conseguire. Alla fin fine rimane l’amara consolazione della consapevolezza che tutto il mondo è paese. La realtà va così. Ci piaccia o no!

Sta a noi fare la differenza scegliendo le corrette opportunità consci che le garanzie non esistono, che la soggettività è sovrana e che i santi in paradiso non sono poi così tanti!

 

2 COMMENTS

  1. I Santi in Paradiso, oltre a non esser poi così tanti, sono tendenzialmente anche tutti già presi.

    Questo binomio conoscenze/portafoglio è un discorso che fila per tutte le arti, e tristemente non solo per quelle. Negli ultimi anni mi sono spesso chiesta se, alla fine dei conti, possa valere la pena accettare la spinta di un editore (nel mio caso) a pagamento per fare il primo passo in quella che pare essere una lobby di contatti che sarebbe forse altrimenti inaccessibile; continuo a farmi questa domanda e a rispondermi imperterrita: “niente soldi, solo lavoro… e se il lavoro non basta lavoreremo meglio e di più”.
    Con la piccola convinzione che magari, in fondo in fondo o dietro l’angolo, un Santo in Paradiso si liberi e prenda anche me sotto la sua ala.

    • Cara Gaia,
      sono convinta che il tuo valore non è certo dato da quale “santo” si prende cura di te!
      E poi, io credo negli angeli custodi, discreti e leggeri nel passo.
      Non è per nulla facile districarsi tra questi rovi … e rovelli. Che posso dirti se non di cercare di soppesare sempre chi hai di fronte, di avere sempre fame di crescita, di essere sempre positiva anche se il mondo sembra possa crollarti addosso. L’occasione è dispettosa, ti guarda da lontano e aspetta di sorprenderti… mi auguro succeda presto. Un abbraccio, Silvia.

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