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Scontro di icone: un tentato approccio alla fotografia musicale

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alice in chains dirty

di Alessandro Pagni

«Dovete sapere che la creazione di una grande compilation, così come una separazione, richiede più fatica di quanto sembri. Devi iniziare alla grande, catturare l’attenzione» 

Questa la personale ricetta per la compilation perfetta, di Rob Gordon, interpretato da John Cusack nella trasposizione cinematografica del capolavoro pop-letterario di Nick Hornby, Alta Fedeltà.
Non entriamo in merito riguardo alle separazioni, ma possiamo tranquillamente dire che anche la creazione di un articolo di tutto rispetto richiede fatica e qualcosa che, da subito, catturi l’attenzione.
Per questo ci siamo affidati al buon Hornby: sia come sostegno al nostro incipit, sia per collegarci all’argomento che ci piacerebbe affrontare con questo scritto. Ovviamente la musica.
E ovviamente la musica nel suo legame con la fotografia, con quella parte della fotografia che non ama circondarsi di recinti e muri perimetrali.

david la chapelle heaven to hell

David LaChapelle, Heaven To Hell

La musica, soprattutto quella rock, ha stretto con questo medium legami importantissimi, dando vita a collaborazioni spesso così intense da essere paragonabili alle splendide e profonde interpretazioni fotografiche che ha dato Ugo Mulas, fra il 1964 e il 1965, degli artisti newyorkesi. L’esempio più commovente del connubio fra rock alternativo e fotografia è rappresentato dal sentimento fortissimo che ha legato Patti Smith e il defunto Robert Mapplethorpe.
Ma sono molti i grandi nomi della fotografia che hanno prestato il loro occhio per dare un volto a qualcosa di impalpabile come la musica: pensiamo all’icona di Jim Morrison realizzata da Joel Brodsky, il Jimi Hendrix di Gered Mankowitz e i Beatles di Richard Avedon; le copertine e i “ritratti interpretati” di sua maestà Anton Corbijn, il fotografo dei gruppi rock per antonomasia; l’oscura prova di David Lynch in veste di fotografo di cui abbiamo parlato su Zest poco tempo fa; e di nuovo la poetessa del punk Patti Smith, insieme a fotografi immensi come Robert Frank o Annie Leibovitz, madre delle più importanti rappresentazioni iconiche della musica rock durante la sua lunghissima collaborazione con la rivista Rolling Stone; per non dimenticare poi il nostrano Luigi Ghirri, di cui amiamo ricordare gli interni di un’ Emilia militante e alienata, suonata dai CCCP nel loro Etica, Epica, Etnica, Pathos; o ancora gli incredibili ritratti di Mattia Zoppellaro e Efrem Raimondi, così freschi e diretti, da nutrirsi di volta in volta, quasi esclusivamente, del magnetismo dell’artista rappresentato.
Immagini indelebili, cose già sapute, già dette troppe volte.

jan-saudek.jpg

Jan Saudek

Al contrario, ci piacerebbe in questa occasione, percorrere a titolo esemplificativo alcuni lavori fotografici, di carattere musicale, improntati non sul ritratto o sul “momento rubato” dove l’artista viene colto in un gesto spontaneo, ma incentrati sulla staged photography e la messa in scena, sul fotomontaggio e la costruzione di immagini rappresentative della musica che vanno a raccontare.
La molla che ci ha fatto scattare il desiderio di scrivere su questo argomento è stata la scoperta, totalmente casuale, della paternità della fradicia e glaciale copertina del disco Grave Dancers Union dei Soul Asylum: la allora sconosciuta band di Minneapolis sale improvvisamente in testa alle classifiche con il brano Runaway Train, che diventerà un classico rock degli anni ’90 (risultato che non raggiungeranno più). Il disco, intimo e sofferto, con graffi e spasmi che non riescono mai fino in fondo a ferire, ha il volto di un tableau del 1970 dell’inquieto ed enigmatico Jan Saudek.

Da qui il gioco è diventato una ricerca appassionata fra ciò che ricordavamo e ciò che ignoravamo totalmente.

Rocky Schenck, fotografo dalle due facce (una professionale concentrata su glamour, fotografia di moda e ritrattistica vip e l’altra trasognata e ancestrale, immersa in eccessi di luce e oscure silhouette di luoghi e personaggi indefiniti), caro a molti musicisti della scena underground americana, traduce in immagini le cupe discese negli inferi dell’eroina e dell’alienazione, invocate sottoforma di litanie, dagli Alice In Chains, gruppo culto della Seattle del “grunge”. Per loro confezionerà l’artwork dei due EP Sap (1992) e Jar of Flies (1994), oltre alla celebre “sindone” del deserto, per il capolavoro Dirt (1992).

Un booklet particolarmente intrigante a livello fotografico è sicuramente quello realizzato per Adore. disco più intimista e tendenzialmente dark della produzione degli Smashing Pumpkins di Billy Corgan. L’autrice del concept è Yelena Yemchuk, artista di origine ucraina, immigrata negli USA e legata, al di là dei suoi lavori professionali per la moda e il mondo dello spettacolo, ad un immaginario da favola nera, a tratti delicato, a tratti feroce. Su Adore costruisce un racconto per immagini, dove ogni esistenza sembra perduta nella propria siderale solitudine, senza possibilità di riscatto: gli stessi componenti della band, sembrano preda di questa malinconia perversa, in cui si cullano come se stessero galleggiando in un oceano nero.

adore smashing pumpkins

Degno di nota è anche l’artwork, surreale e apertamente magrittiano, del secondo disco (Frances The Mute del 2005) del gruppo di El Paso, Mars Volta, che coniuga psichedelica, sperimentazione e animismo di influenza messicana. Dietro alla confezione di questo album si celano Storm Thorgerson (della Hipgnosis) Rupert Truman e Peter Curzon, che hanno lavorato alle cover più celebri di gruppi come Muse, Audioslave, Dream Teather, Cramberries, Biffy Clyro, Bruce Dikinson, Peter Gabriel, Led Zeppeling e soprattutto Pink Floyd.

Alcune immagini autoriali poi, vengono spesso estrapolate dalle loro serie d’origine (con fini ben diversi) e ri-contestualizzate sulle copertine di album musicali, assumendo nuovi significati inediti in rapporto alla musica che vanno a pubblicizzare, come gli scatti del francese Bernard Pierre Wolff , che nel 1978 si dedica ad un’ampia documentazione fotografica in ambito cimiteriale, che confluirà nella pubblicazione Friends and Friends of Friends: due di questi scatti verranno utilizzati dal gruppo new wave inglese Joy Division, per l’album Closer (1980) e per il singolo Love Will Tear Us Apart (1980). Siamo di fronte a un concetto di artificio fotografico differente: le immagini mostrano due sculture, due porzioni decontestualizzate della decorazione scultorea del cimitero monumentale di Staglieno a Genova; ma il fatto di darle nuova vita, accostandole alle parole ciniche e allo stesso tempo tragiche di Ian Curtis, dietro a un tappetto di musica scarna e ridondante, trasforma questi frame in piccoli teatri di intima disperazione, rendendo la pietra inerme, d’un tratto capace di provare dolore.

Squisitamente amatoriale e senza compromesso, è al contrario la fotografia scelta dal leader degli Xiu Xiu per identificare il suo secondo progetto musicale A promise : l’istantanea mostra un giovane nudo, sprofondato con le ginocchia nelle lenzuola disfatte di un letto anonimo, con al fianco i vestiti accuratamente ripiegati e nella mano sinistra una bambola. La leggenda vuole che la promessa di cui parla il titolo dell’album sia quella fatta dal cantante Jamie Stewart a questo prostituto vietnamita, che voleva assolutamente finire sulla copertina del suo nuovo disco.

xiu xiu a promiseIl contributo di importanti e talentuosi fotografi al mondo della musica alternativa è variegato, non si limita alle sole copertine o booklet dei prodotti discografici: fotografie promozionali e scatti che raccontano vicende legate all’artista, sono spesso piccoli capolavori che hanno contribuito fortemente a connotarne l’aura e a veicolarne una determinata immagine, nel tempo cementata nell’occhio dell’ascoltatore in cerca di riscontri continui.
Abbiamo già nominato Rocky Schenck, ma merita ricordarlo ancora, ad esempio per il raffinato ed essenziale set attorno a cui ha costruito lo struggente scambio di battute fra Nick Cave e P.J Harvey, per il singolo Henry Lee (di cui girerà anche il videoclip) o l’ironia amara di una bella fotografia promozionale degli Eels, dove un tiepido Mark Oliver Everett (conosciuto come Mr. E) circondato da palloncini e nastri, festeggia un fantomatico compleanno, davanti a un tavolo ricco di caramelle colorate: l’immagine mette in luce sapientemente il contrasto tra le melodie morbide e quasi giocose del gruppo e i testi grigi e angosciati del suo frontman, rimasto negli anni orfano, prima del padre, poi della sorella e della madre.

Altro fotografo che ha contribuito in modo estremamente prolifico e vistoso all’agiografia di esponenti del mondo dello spettacolo e della musica è certamente David LaChapelle con copertine e quadri fotografici dal sapore quasi fiammingo. Molti sono i servigi resi dal suo occhio al mondo della musica pop, ma per restare coerenti al filone tracciato fino ad ora, preferisco descrivere uno dei contributi più emblematici della sua capacità di riassumere in una sola immagine, lo spirito e il fascino che si cela dietro a un personaggio e alla sua musica. Heaven to Hell è un saggio imperdibile di staged photography: un dittico dove nella prima immagine, una stanza piena di luce dipinta e alberi, ospita una versione “made in Seattle” della Pietà michelangiolesca con Courtney Love (leader delle Hole), seduta su una barella ospedaliera, a fare le veci della Madonna e un simulacro del mai abbastanza rimpianto Kurt Cobain (leader dei Nirvana), come un Cristo tossico, immolatosi per il pubblico, mentre ostenta i lividi della sua estasi, lungo il braccio. Ovunque oggetti su oggetti, a raccontare il bignami di un’esistenza e in primo piano una bambina dai riccioli biondi (allusione alla figlia Frances Bean, ormai adulta e già fotografata da molti fra cui Shenck appunto) che con i cubi delle costruzioni compone la didascalia della fotografia. Un mondo immobile come una visione sacra, a cui LaChapelle, darà inesorabilmente fuoco nell’immagine successiva, mettendo a nudo lo squallore di ciò che resta, avvolto nella fiamme.frances-the-mute-the-mars-volta-410400_1024_768

Per finire uno degli sguardi che meglio riassume l’incontro, prolifico ed emozionante, fra fotografia e musica di un certo livello e di una certa profondità: Guido Harari. I suoi scatti si collocano nella sfera del ritratto, ma vanno oltre, amalgamando i musicisti ad un particolare gesto, una location o una situazione minima, non teatrale, che ne amplifichi le caratteristiche interiori. Fra i moltissimi nomi passati per il suo occhio, ricordiamo Lou Reed, TomWaits, Vinicio Capossela, Jeff e Tim Buckley, Frank Zappa, Paolo Conte, Manuel Agnelli degli Afterhours e moltissimi altri. L’esempio che più si lega a questa nostra fotografia “altra” rispetto al comune reportage mostra Leonard Cohen che si finge addormentato, con le dita vicino alla bocca, come un bambino, sopra un tavolo di prezioso antiquariato, al cospetto di un grande dipinto e incorniciato da due colonne: che Harari lo pensasse o no, non posso evitare di legare questa immagine ad una della più importanti della carriera di questo fotografo, che racconta di un De André addormentato per terra, rannicchiato contro una valigia, durante la leggendaria tourné del 1978 insieme alla PFM. E sappiamo quanto Faber amasse Leonard Cohen.

Questo articolo vuole essere uno spunto per ulteriori ricerche e un invito a foraggiare la nostra approssimativa conoscenza dell’argomento con nuovi contributi.
Crediamo di poter sottoscrivere finalmente anche quella parte della citazione (usata come incipit) di Rob Gordon che avevamo lasciato temporaneamente in sospeso: anche una separazione richiede più fatica di quanto sembri.
In questo caso la separazione da questo (per noi appassionante) argomento.
E nello spirito di Alta Fedeltà di Hornby, anche noi non ci priveremo del piacere di chiudere con la nostra personale compilation.

 

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