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Sandro Rafanelli: la poesia simbolista ai tempi del digitale

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Sandro Rafanelli, Il sogno spaventoso

di Alessandro Pagni

 

Ho incontrato Sandro Rafanelli per la prima volta fuori dalle mura di Altopascio (provincia di Lucca), nella striscia di strada con i parcheggi a spina di pesce, che costeggia il centro storico del paese dove sono cresciuto.

L’occasione è stata un economico Car Pooling in direzione di Genova, per presenziare insieme a una delle mostre itineranti di Confini 09, che ci aveva visti fra i premiati.

Il suo sguardo era timido e profondo, la voce pacata trasmetteva quiete, una persona capace di piccoli enormi gesti che ti sfiorano con discrezione, ma restano estremamente significativi nel tempo.

Sandro Rafanelli

Sandro Rafanelli, Andrà tutto bene

Dei nostri rari incontri, negli ultimi tre anni, mi sono rimasti impressi certi splendidi silenzi. Non perché non avesse materia di cui discutere (è anche un’ottima penna con il suo blog Because the light, dove propone autori e approfondimenti sul mondo della fotografia, affini alla sua peculiare concezione di immagine), ma perché i silenzi che lo riguardano, assomigliano alle visioni e alle stratificazioni di luci e ombre che registra durante i suoi sogni “lucidi” e poi, in un secondo momento, ri-assembla per potercele mostrare (…che i sogni siano sintomi, che i sogni siano segni…).

Ogni immagine di Sandro Rafanelli è un piccolo tempio di quiete e meditazione, dove tutto ciò che è inanimato, pietrificato, comunemente incombente, si sfalda, si sgretola liberando la sua vera anima, l’idea celata da un contenitore formale, che danza davanti al nostro sguardo stupefatto, rendendosi progressivamente accessibile, se non alla ragione, certamente a quel luogo indipendente, pieno di possibilità, che è l’istinto.

Sandro Rafanelli, Il ritratto del poeta

Sandro Rafanelli, Il ritratto del poeta

Dall’imponente lavoro Phantasmagoria alle serie brevi di Portrait of Poet e Zoe, fino all’apologia del silenzio e della distanza con il recente Le isole invisibili (lavoro caratterizzato da un’attenzione al dettaglio propria dei mandala tibetani di sabbia e delle miniature medievali), il percorso che il fotografo pistoiese traccia è un viaggio iniziatico dentro i più intimi recessi del proprio IO.

Il dialogo di Sandro con l’arte scultorea e pittorica, soprattutto di stampo romantico e simbolista è a tratti più forte dei suoi “debiti” verso i grandi personaggi del medium fotografico. Basti pensare alla sua trasposizione dell’ Isola dei morti di Böcklin, nelle sue più stupefacenti declinazioni, costruendo un arcipelago dell’ “altrove”, sospeso fra un mare cupo e un cielo sempre diverso, sempre incline a raccontare uno stato emozionale in costante mutamento; o all’impianto costruttivo erudito e a tratti quasi alchemico, nel suo segreto sottotesto, che ci rimanda a Gustave Moreau e Odilon Redon.

sandro rafanelli, zoè

Sandro Rafanelli, Zoè

Se i legami di questi lavori con la pittura toccano rivolgimenti atmosferici propri di un romanticismo vicino a Caspar David Friedrich e il buio di alcuni scatti rimandi alle pastose notti da incubo di Füssli, la sua adesione consapevole alla storia del medium con cui ha scelto di esprimersi è comunque forte e lo trova figlio, prima del pittorialismo (pensiamo a Henry Peach Robinson e alle prime esposizioni multiple) e poi delle costruzioni oniriche in fotografia di alcuni “specchi interiori” come Duane Michals, Jerry Uelsmann o Val Telberg, fino a toccare la dolcezza da fiaba monocromatica di Michel Lagarde e la delicatezza delle Storie Invernali di Paolo Ventura, che adora.

Tornando al silenzio, c’è un’immagine, a mio avviso, perfetta e incredibile dentro a Phantasmagoria, che chiude il cerchio di queste considerazioni e ribalta il senso di tutto ciò che si può dire in materia di espressione interiore: il titolo dell’immagine è Il sogno spaventoso e ci mostra, al di là di ciò che uno storico dell’arte può individuare, l’urlo disperato di una donna che, in un movimento convulso e repentino, scatta in avanti verso qualcosa, portandosi dietro come una scia, il suo velo increspato dalla forza del gesto che compie. Ma dentro di lei si apre, come un film muto, una scena che ci spiazza, proiettandoci in un luogo immaginario di calma e pace, dove un mulino a vento, sospeso sopra un mare piatto e solido come un prato, sembra rassicurarci sulla tranquillità e incolumità nostra e del soggetto rappresentato.

Sandro Rafanelli, Brevità

Sandro Rafanelli, Brevità

Quello che riesce a fare Sandro con questa immagine è semplice e pazzesco:  giocando sull’innesco di un sapiente cortocircuito, riesce ad abbassare con un solo gesto il volume, escludere ogni rumore come se avesse fra le mani un interruttore che può controllare con gli occhi, rendendo possibile il paradosso di una disperazione urlata che convive con la più immobile serenità. Quello a cui assistiamo è l’annichilimento di ogni suono, traslato su una superficie bidimensionale: qualcosa che porta in seno una buona dose di smarrimento, tanto alienante ma al contempo comune, nelle crisi emotive dell’animale-uomo.

Sandro Rafanelli, L'isola dei morti

Sandro Rafanelli, L’isola dei morti

Guardando questa fotografia e un po’ tutta la produzione di Sandro Rafanelli, vengono in mente, come una visione speculare, le parole di Girogio Canali (storico militante dei CSI di Giovanni Lindo Ferretti) in una canzone del suo ultimo disco:

…e urlare dentro per non disturbare…

così intendo il suo sguardo, il suo intento creativo, un sussurro intimo, timido, non prevaricante, ma mai innocuo, che richiede uno scandaglio più attento per far affiorare i molti significati sommersi.

Sandro Rafanelli, Camposanto

Sandro Rafanelli, Camposanto

 

Sandro Rafanelli, L'isola sconosciuta

Sandro Rafanelli, L’isola sconosciuta

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