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Prato città di poche parole

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“Come parlare ai muri” nella città toscana, alla ricerca della sua anima, tra scritte e murales

maglie prato

di Riccardo Tronci

 

Anche sotto Natale sembra una città normale, Prato. Quasi banale, incapace di regalare scorci di autenticità medievale, di meravigliare con l’atmosfera. Sembra. Perchè quello che accade camminando per le vie acciottolate e un po’ grigie è di meravigliarsi allo spuntare improvviso di una o più case torri in centro, di stupirsi nel ritrovarsi proiettati da un vicolo in una piazza e colpiti dalla maestosa bellezza di Palazzo Pretorio. O ancora di più, usciti da un vicolo banale ci si trova inchinati davanti alla spettacolare bellezza del Castello dell’Imperatore.

Ma chi ce l’ha un castello in centro?” recita una locandina appesa in un locale. Proprio così, quale città può mai vantare un integro ed intero maniero in pieno centro? Ecco che Prato rivela la sua essenza, quella di città che nasconde per far trovare, quasi volesse farsi conoscere solo a pochi, quasi avesse più volti, quasi non si rendesse conto del suo intrinseco fascino. E i pratesi sembrano agire assecondando le mura che racchiudono le loro vite quotidiane, o almeno questo potremo dire osservando le scritte sui muri ed i murales.

bandiere pratoVie interminabili senza una scritta. Vicoli che sembrano fatti appositamente per accogliere murales creati furtivamente di notte con appena qualche scritta o una firma, vicoli che non conoscono lo scalpitare veloce di chi ha appena concluso la sua opera. Molto spesso sembra che a prevalere sui muri siano le firme, come se alla comunità pratese sembrasse realmente importante l’individualità piuttosto che la comunità. Che questa interpretazione sia o meno esatta, nel nostro cammino abbiamo incontrato ben poche scritte politiche, paragonandone il numero alle visite già fatte tra Milano e Pistoia. Una contro il fascismo e una per una fantomatica “terza posizione” oltre ai partiti. E molte, molte firme.

Ma, come vale per il castello, ecco che dietro un angolo, un’intera parete è siglata da un murales. Ecco che le case vicine parlano attraverso le bandiere (un progetto dal nome “Facewall” che vuole raccontare l’integrazione in questo territorio con ben diecimila bandiere distribuite alla cittadinanza). Poi qualche firma e muri illibati. Ed ancora, improvvisamente, dietro un nuovo angolo, un fiorire di disegni.

Un ragazzo mostra di voler prendere a calci la sua stessa città. Una nube accennata si sposta dai quartieri industrializzati sulla civiltà. Un uomo fotografa un altro con una posa quasi militaresca, un cane rincorre un’altra silhouette poco lontano, un gallo promette del sano rock ‘n roll dal suo microfono stile anni ’50. Contornato da una miriade di firme, in questo caso (vale per scritta “comunitaria”?).

Il bisogno di comunicare che da sempre caratterizza l’uomo, che fino dall’epoca romana di Pompei spinge le persone a graffitare messaggi sui muri, sembra qui compiere un cammino diversificato, a ostacoli, una caccia al tesoro. L’idea e lo slogan abbandonano i muri per lasciare ampio spazio alle sigle e alle firme, la “primal urge”, l’ansia di condividere sembra concentrarsi spesso sul proprio ego, sul poter dire: io esisto! Come se una città fosse in grado di schiacciare e annientare i tratti distintivi di ognuno. E forse è proprio così, una forza che schiaccia e allo stesso tempo lascia affiorare tesori. Come una sorta di eruzione, come se la stessa forza che spinge verso il basso non fosse capace di frenare la risposta. L’uomo e la comunità trovano le crepe e fioriscono in isolate, bellissime aiuole.

murale prato Oppure le firme, le sigle isolate, sono ancora una volta l’attestazione di ciò per cui Prato si è sempre distinta in Toscana: la capacità di esserci, di vivere il momento, di capire le tendenze e sfruttarle.

E poi dalle mura spunta un uomo dalle tinte di latta, enigmatico. È lì, come un lapillo, un gigante in mezzo al niente, risultato di una spinta dal basso. Le mura presentano installazioni, e tra queste anche dei murales, decisamente belli, ma meno affascinanti di ciò che è spontaneo e grida il cuore e l’anima della città. Colpiscono le centinaia di maglie appese alle mura a formare quasi una teoria di preghiere tibetane, in mostra a declinare la forza di Prato, la sua radice nell’integrazione di chi ha solo i vestiti e il suo denominatore economico in campo manifatturiero. Un richiamo alla comunità che controbilancia la forte quantità di firme lasciate per manifestare la propria (egoistica?) presenza, che forse altro non sono che un modo per continuare a dare vita all’antico detto pratese “Una parola l’è poca, due le son troppe”.

 

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