L’incorruttibile argilla di Vanni Melani, artista sublime estraneo al nostro tempo
di Riccardo Tronci
– Lo stupore abita dietro la porta di una casa affacciata sulla campagna pistoiese. La apre Vanni Melani, e subito ci si trova proiettati nel volgere di quadri, frammenti, sculture in terracotta, arte. Lo sguardo indaga immediatamente con curiosità e si posa sulle mani e sui piedi di alcune opere, come da primi rudimenti di critica. Ed ecco lo studio, un volgere di ritratti e sguardi penetranti, colori, rimandi e assonanze. Spesso l’arte e l’artista non hanno bisogno di introduzioni, nonostante gli abomini e le banalità del mercato e delle mostre contemporanee, si riconoscono, immediatamente.
“E’ un fattore genetico” – spiega sorridendo Vanni Melani – “i Melani sono tutti artisti, mio fratello ad esempio scrive, è giornalista, mia sorella canta ed io scolpisco la ceramica. Melanòs dal greco significa ‘musici’, artisti…”. Crescere in un ambiente ricco di stimoli (figlio di Vasco Melani, intellettuale del fare poliedrico e molto autorevole del Novecento, pittore futurista e avanguardista nonché archeologo e pubblicista) deve essere certamente contato molto per il giovane Vanni, che fin dai primi passi artistici si misura con se stesso nello studio del padre (“ci dormivo…”). Non ancora maggiorenne Melani si confronta con la sua prima esperienza fuori casa: “Mio padre era dell’idea di mandarci fuori, avevo quindici anni quando sono andato in Olanda. Fu occasione di grande formazione, non era la stessa cosa di oggi, andare all’estero era un fatto esclusivo, quasi un’avventura. Venivo dalla porcellana dell’Istituto d’arte Ginori di Firenze, l’avevo scelta perché la più difficile, minuziosa ed evoluta. In Olanda mi trovai davanti a balle di terra di refrattario: alla ditta era stato commissionato un bassorilievo per la città di Rotterdam (distrutta dai tedeschi), mi dissero semplicemente: ‘Te la senti?’. E io dal piccolo lavoro di cammeo della porcellana mi ritrovai in tutto quello spazio, e capii la mia strada. Fare cose grandi con dovizia di particolari“.
Il gusto per il dettaglio è presente in tutta la produzione di Melani e si riscontra anche nel suo modo di interpretare il legame con la storia. I riferimenti all’arte classica, etrusca e romanica sono diffusi e chiari, il rapporto con il passato è risolto con una interpretazione originale, semplice e proprio per questo di effetto. “Il nuovo per il nuovo è niente. Non esiste artista che non abbia avuto contaminazioni” e tuttavia dalle influenze si parte per raggiungere qualcosa che abbia l’estro e l’originalità della vera creazione artistica, sorpassando Mitoraj in una interpretazione della classicità quasi radicale: dove il primo crea mistiche e sbalorditive spaccature, Melani “per amore di archeologia” crea dei “veri” reperti, consumando le proprie opere e mostrando segni del tempo oppure scolpendo ritratti in bucchero.
Girando la testa ai lati nello studio di Melani non si può fare a meno di iniziare una sorta di dialogo con i ritratti, fatto di semplici scambi di sguardi, una comunicazione primordiale. “Nei miei ritratti cerco sempre di mostrare il carattere della persona, ma inserisco anche richiami al passato, rimandi, ad esempio, ai kuros greci. Anche se preferisco solitamente i ritratti femminili“.
Tutto il calore naturale dell’argilla, tutta la sapiente passione con cui è necessario modellarla emergono
spontaneamente dalle sculture, ed è più facile realizzare la differenza tra scultura e ceramica: “L’argilla è sfuggente. Dominarla è molto difficile, bisogna saperla prendere. Devi aumentare, togliere e controllare, perché si muove, casca, pende, non ti dà retta. E forse mi è affine perché è primordiale. Basti pensare che è la prima esperienza di trasformazione chimica fatta dall’ uomo. Opera, probabilmente, delle donne. Si trasforma il ferro in ossido di ferro, ed è questo processo a renderla rossa. E’ terra, è il materiale più povero che c’è ed è tuttavia incorruttibile come l’oro. E anche da un punto di vista esoterico, nell’ argilla troviamo i quattro elementi della vita: terra, aria, fuoco e acqua”.
L’arte, come sempre, vive grazie a un percorso interiore, abbinato ad un percorso conoscitivo, in un rapporto simbiotico in cui l’uno fa tesoro dell’altro. Così, quasi come nelle botteghe rinascimentali, non lontano dalla Pistoia terra natìa, che pure lo conosce come “nemo profeta”, Melani apre assieme al Comune di Agliana “Officinae”, un laboratorio e spazio aperto, un qualcosa di “nato per scherzo, come tutte le cose serie”, un luogo dove le persone possono apprendere come modellare la ceramica, disegnare, lavorare la maiolica e allo stesso tempo parlare di arte, confrontarsi, esprimersi. Uno spazio per incominciare ed imparare, due verbi ad oggi quanto mai sconosciuti: “Non si può dimenticare la formazione tecnica, l’apprendimento dell’uso degli strumenti. Tutto il resto è un bluff frutto dell’incapacità di esprimere ciò che si ha dentro. Lo diceva Pablo Picasso, è necessario prima acquisire tutti gli strumenti e poi dimenticarsene. Io… odio il nostro tempo, mi sento un estraneo. Ho una specie di slogan: ‘oggi si produce il pieno di nulla ed il vuoto di tutto’”.
La formazione è necessaria, chi la dimentica per la fretta di esprimersi e conquistare qualche commento positivo sui social network, semplicemente non arriverà realmente ad esprimere ciò che ha dentro, riuscirà solo ad intaccare la scorza della sua personalità. “Devi andare a pescare qualcosa della tradizione” dice ancora Melani, che infatti non ha avuto paura a confrontarsi con uno dei temi portanti dell’arte italiana, il tema sacro. “Ci sono arrivato nel 1978, con il ‘Cristo della Montagna’”. Il Cristo di Melani è un uomo. Forte del richiamo all’arte di Brunelleschi, l’artista si spinge ancora avanti e, oltre che rappresentare il dolore, il culmine del calvario, dona al volto le sembianze del padre, defunto nel periodo coevo alla realizzazione della scultura. Il Cristo della montagna affida il suo ultimo respiro alla maestosa semplicità di un albero, un ulivo, e non a una canonica croce, donando alla composizione un aspetto insolito, di forte pathos ed empatia, un’evocazione che ha poco di religioso, molto di spirituale.
Il tema sacro prosegue con un omaggio in tempi non sospetti e poco celebrati a Giovanni Paolo II (che ringraziò
tramite il proprio segretario) ed ancora con una crocifissione (accompagnata da un polittico), stavolta commissionata ed esposta nella chiesa di St Josepha a Washington. E se Melani viene apprezzato e richiesto oltreoceano, la sua città natale, Pistoia, non gli dedica nemmeno una mostra o un invito. Forse perché “non ho mai avuto galleristi. Ho conosciuto Zavattini e Greco, ho frequentato numerosi salotti importanti, ma non ne ho mai voluto trarre benefici, se non limitati. Come è nel carattere dei Melani, accettiamo malvolentieri i compromessi”.
Certi tipi di compromessi vanno bene per l’arredamento, per componenti di design, per oggetti di uso quotidiano. L’artista ricerca, segue le intuizioni, cammina compiendo sbagli e conquistando successi in un percorso che risulta realmente decifrabile a pochi. Per poi riassumere tutta la propria arte in un pezzo. Unico. Tutta la tensione creativa, la libertà e la ricerca comunicativa, le mani e i piedi, incastonati in un vortice, assieme ad un volto perso nell’ “Estasi”, capolavoro sconvolgente, dalla rara intensità.
(Foto Giancarlo Fagioli e Tiziano Banci, concesse a zest.today da Vanni Melani)