La scultura del vuoto di Bruno Catalano
Da marinaio ad artista che indaga sulla vita dell'uomo
di Riccardo Tronci – Michelangelo, avviandosi al volgere finale della sua produzione artistica e vita, con immensa umiltà si definiva un artigiano, appena bravo a scolpire. Le statue, i gruppi marmorei erano già presenti dentro i blocchi portati dalle cave, il suo era solo un lavoro di sottrazione, atto a ‘levare’ ció che era in più. Come se le sue opere fossero incastonate in una vasca colma di acqua ed il suo lavoro altro non fosse che quello di sottrarre i liquidi per far emergere le figure. Alcune delle sue statue, per vicende storiche e personali di vita, vennero “liberate” solo in parte, destinate ad uno sforzo continuo e perpetuo che ha preso il nome di “non finito”. Il non finito michelangiolesco è la prima cosa che viene in mente ad osservare le sculture di Bruno Catalano, ma ben presto si realizza di essere andati oltre alla tensione artistica classica e rinascimentale, per approdare ad un’analisi complessa e sintetica dei tempi moderni.
Le sculture di Catalano sono anch’esse “non finite”, ma piuttosto che aspettare di essere liberate sono corrose, svuotate, mangiate. Da cosa, viene da chiedersi osservando come si integrano perfettamente con il contesto, emergendo quasi come illusioni ottiche, inviti a colmare il vuoto con la propria inclinazione. La serie di sculture che prende il nome de Les Voyageurs, scelte da Marsiglia nel 2013 per celebrare il proprio ruolo di città della cultura, e collocate sul perimetro del porto, lasciano completamente sbigottito l’osservatore, che pur percependo il vuoto realizza la figura, percependo il significante tocca il significato. Dal porto arriva chiaro, come soffiato dalla brezza marina e dallo stesso sguardo dei “viaggiatori”, il messaggio, incentrato sul viaggio, come dice lo stesso titolo della serie. Un viaggio che dilania, di emigranti, un percorso non cercato, ma dovuto alle circostanze che la stessa vita propone, il viaggio di chi lascia sul suolo di partenza un pezzo di sè. Gli occhi non sono felici, lo sguardo è volto verso un orizzonte anch’esso incerto e incompleto, la mano stringe salda la valigia, quasi rappresentasse tutta la vita, tutto il proprio bagaglio. Il vedere attraverso le figure lacerate e dalla forte tensione fisica è in realtà uno scorgere insieme a loro orizzonti, vicoli ciechi, piazze e strade percorribili. I soggetti sono uomini e donne dal passo stanco, aggravato da una valigia metaforicamente pesante, che camminano per la città o aspettano seduti su di una panchina l’arrivo di un mezzo. I vestiti sono una cartina tornasole del soggetto, che talvolta si presenta in abiti eleganti, lasciando percepire una critica di fondo alla qualità di vita odierna: siamo tutti, quotidianamente emigranti, viaggiatori, troppo presi dagli schemi abituali per accorgersi che la vita passa, incessante. La riflessione e la sua messa in opera deriva con ogni probabilità dalla vita stessa di Catalano, un marinaio francese che ha iniziato a lavorare il bronzo all’età di trenta anni. Nato nel 1960 nel sud della Francia, Catalano ha vissuto fino a 12 anni in Marocco e ha poi fatto il marinaio. Da qui la sua evidente attenzione per il tema del viaggio, dei viaggiatori, del significato simbolico ed intrinseco del viaggio, inteso come arricchimento e come perdita.
Il movimento e la tensione dei corpi lascia scorgere riferimenti a Medardo Rosso (ancora più che a Rodin), per la capacità di lasciare scolpire dalla luce le emozioni, le forme, il vento ed anche il contesto, percepito anche se non rappresentato. Da Rosso Catalano si muove definendo l’evanescenza del primo con un chiaro valore della massa, seppur lacerata in parte. Le figure si stagliano trovando un equivalente scultoreo della linea di contorno in pittura. Bruno Catalano apprende anche la lezione di Mitoraj, seducendo l’osservatore con i vuoti, giocando proprio su ciò che non rappresenta, lasciando che il protagonista non sia l’opera, ma la sua parte mancante. Tuttavia Catalano non è solo artista e scultore di vuoti, lo vediamo ad esempio ne “Le Minotaure”, piccola opera di bronzo realizzata in trenta esemplari, dove se è forte il richiamo alla classicità (nel tema come nella realizzazione), ne è evidente anche l’interpretazione più umana, naturale, di una figura mitologica. Non si tratta più di una creatura metà uomo e metà animale, piuttosto di un uomo che tristemente indossa una maschera.
L’indagine di Catalano è intorno all’uomo, come ne “La Terre”, anch’essa in produzione limitata, dove cogliamo l’invito a penetrare la reale essenza della terra, in un tutto tondo pieno in cui fa breccia una finestra.