JR e l’arte partecipativa
di Francesco Colombelli
L’arte partecipativa consiste nel fare arte coinvolgendo direttamente il pubblico nella creazione dell’opera, pubblico che ricopre il ruolo di co-autore. Già nel passato diversi artisti hanno lavorato circondati da altre persone, basti pensare alle botteghe medievali o agli artisti contemporanei aiutati dai collaboratori, ma la novità dell’arte partecipativa sta nel far diventare ciascun partecipante co-autore dell’opera, senza scale gerarchiche tra i partecipanti.
JR è un giovane artista francese che ha fatto dell’arte partecipativa un suo punto cardine. Nelle sue opere mixa, come fosse un dj, fotografia, graffiti art e affichement; tant’è che si definisce “photograffeur” (photographe + graffeur). Durante la conferenza per il TED Prize 2011 JR lancia Inside Out, un progetto di arte collaborativa realizzabile con la cooperazione di chiunque voglia partecipare tramite il web. I partecipanti sono invitati a usare ritratti fotografici in bianco e nero per scoprire, rivelare e condividere le proprie storie con tutto il mondo.
Queste immagini, caricate in digitale sul portale del sito creato per il progetto, vengono stampate in formato poster e rispedite al proprietario originale per essere poi esposte in tutto il mondo. Le persone che vi prendono parte assumono il controllo del progetto e compiono l’intero processo.
JR diventa così un automa, non è più lui ad azionare l’otturatore dell’obiettivo, non è più lui a scegliere l’ubicazione e nemmeno ad attaccare i poster. JR diventa tutte le macchine fotografiche degli utenti coinvolti, diventa le mani che hanno attaccato quei poster, diventa tutti coloro che hanno aderito a Inside Out e, viceversa, tutti i partecipanti diventano JR. Forzando un po’ il paragone, sembra che JR abbia guardato Franco Vaccari e la sua Esposizione in tempo reale alla Biennale di Venezia del 1972.
Entrambi i lavori sono dei working progress creati dagli artisti affidandosi alla partecipazione del pubblico. I mezzi per giungere al risultato finale sono diversi: Vaccari usa una photomatic, pone nella sala della biennale un oggetto “già fatto” corredato solo da una scritta in quattro lingue, mentre JR si affida al web, dove fornisce tutte le indicazioni per lo svolgimento del progetto e per l’invio delle immagini.
Lo svolgersi del progetto, però, si assomiglia molto. La provocazione, come allora, è tutta qui, riassunta al meglio dalle parole di Vaccari: “di opere neppure l’ombra. L’opera in quel momento esisteva solo come scommessa, in una dimensione di assoluta virtualità e niente e nessuno poteva garantire che sarebbe diventata qualcosa di reale.” E oggi come allora il rischio era alto.
Inside Out invece ha funzionato, al progetto hanno preso parte circa 140.000 persone in più di 1000 città diverse. A sottolineare le affinità metodologiche dei due progetti subentra un “aiuto” che JR decide di dare a Inside Out: un furgone/cabina per fototessere che, nel 2011, fa il suo esordio in Palestina e successivamente percorrerà diverse tappe. Un furgone che nel vano posteriore è “una cabina per fototessere.
Si va nel retro del furgone, vi viene scattata una foto, trenta secondi dopo la recuperate dalla fiancata e siete pronti a partire” e raccontare la vostra storia al mondo. Il furgone diviene un supporto al metodo online e aiuta coloro che hanno difficoltà nell’accesso alla rete. La funzione, sia che si usi il web, sia che si usi il Photobooth Truck, rimane la stessa così come le modalità: scatti, invii al sito le foto, ricevi il poster e lo attacchi oppure entri nel furgone, ti fai scattare la foto, ritiri il poster e lo attacchi. Per le strade, sui tetti, ovunque vuoi.
In Inside Out il luogo diventa un elemento cardine, che collabora con la fotografia per potenziarne il contenuto. Le persone che hanno partecipato al progetto, a seconda del luogo e del contesto in cui hanno agito, hanno utilizzato le fotografie per diversi scopi e fini. Così Inside Out assume diversi significati: “ci sono un sacco di progetti scolastici, il 20% delle immagini ricevute provengono dalle scuole” – dice JR, come quella di Austin, in Minnesota, dove i ritratti fanno parte di un progetto artistico realizzato dagli alunni con l’aiuto degli insegnanti, per ricoprire le pareti della scuola.
In Nord Dakota invece diventa un modo per rivendicare le proprie origini, come è successo nella Standing Rock Reservation, dove i partecipanti al progetto han voluto dimostrare che i nativi americani della tribù Dakota Lakota sono ancora qui. La settima generazione sta lottando ancora per i propri diritti. Ha affisso ritratti su tutta la riserva, perfino sulle tende ancora abitate.
Arte partecipativa che permette anche di contribuire in modo attivo alla crescita della propria città, come è successo a Parigi a partire da Marzo 2014, dove i ritratti di 4160 francesi, realizzati grazie Au Panthéon di JR, hanno ricoperto la cupola (all’interno e all’esterno) e il pavimento del Pantheon durante la sua ristrutturazione.
Inside Out può anche diventare un forte messaggio politico come è successo in Tunisia dove sono stati scattati centinaia di ritratti e i partecipanti hanno affisso le loro fotografie su ogni singolo ritratto del dittatore Ben Alì, durante la Primavera Araba. Diversamente, in varie città europee numerosi giovani hanno utilizzato Inside Out per protestare contro le leggi omofobiche approvate dalla Russia, presentandosi con i ritratti di omosessuali davanti alle ambasciate russe in Europa. Arte partecipativa anche quando c’è da stare uniti, tutti insieme, contro un attacco inaspettato come quello a Charlie Hebdo. Arte che scende nelle strade di Parigi insieme alle due milioni di persone per la manifestazione dell’11 Gennaio 2015 e fa sfilare gli occhi di Stéphane Charbonnier, per non dimenticare.