Intervista ai The Beards, il duo veneto che ha conquistato l’America
di Irene Tempestini
The Beards, Emanuele e Massimiliano, da Riviera del Brenta al successo americano… raccontateci come e quando è iniziata la vostra avventura e quando avete capito che la strada era quella giusta
Diciamo che una strada, giusta o sbagliata che sia, l’abbiamo scelta fin dall’inizio. Abbiamo deciso di fare una nostra interpretazione del genere americana e di proporla all’estero, non ponendoci altra regola se non quella di rispettare la nostra sensibilità musicale, nostro unico criterio di autocontrollo. Accettiamo il rischio che la strada intrapresa possa condurci ad un baratro… in ogni caso è il nostro baratro! In realtà, siamo entrati e usciti da vari baratri (e anche da parecchi bar) per un decennio!
Il successo che avete in America è enorme, per il genere di musica che vi contraddistingue hanno addirittura coniato la definizione di “Spaghetti Americana”, che è anche il titolo della vostra antologia contenente 16 brani. Dall’Italia invece, cosa vi aspettate?
Dall’Italia non sappiamo cosa aspettarci. Siamo disposti a cadere dalla sedia per lo stupore e rotolarci per terra dalla gioia!
Al momento siete in studio con il super produttore Jim Diamond per l’album Freak Town. Come nasce questa importante collaborazione?
Jim, come Professor Louie in precedenza, sulla base delle nostre produzioni passate ha visto la possibilità di sviluppare qualcosa di nuovo, di muoversi in altre direzioni. Muskito e Widmann’s Mansion ad esempio sono album molto diversi, sotto il profilo compositivo e sonoro. Dipanando le nostre matasse musicali, Jim ha trovato qualche bandolo che faceva al caso suo e ha deciso di scommetterci… Speriamo che abbia scommesso sul bandolo della matassa vincente, in passato lo ha fatto…
In Widmann’s Mansion (2013) avete collaborato appunto con il grande Professor Louie (produttore tra gli altri di The Band). Qual è l’insegnamento più grande che avete tratto da un mostro sacro come lui e di cui farete per sempre tesoro?
Lavorare duro sempre, ma non cercare mai di essere perfetti! In questo ci riusciamo benissimo!
Tra le vostre collaborazioni “da brividi” vi sono ad esempio, oltre al già citato Professor Louie, Levon Helm e Julien Poulson. Ma chi vorreste alzasse il telefono e vi dicesse “hey ragazzi, vi va di fare qualcosa insieme?”
Qualche nostro caro amico che non c’è più.
Nelle vostre produzioni si sentono cambiamenti stilistici che denotano una continua ricerca… qual è stato l’album grazie al quale avete capito in quale direzione dovevano andare i The Beards?
Proprio quello che stiamo registrando. Freak Town ci ha dato modo di rimettere assieme un mosaico mentale che ci portavamo dentro fin dagli esordi. Abbiamo sublimato e distillato esperimenti, tentativi fallimentari e vincenti sgrossato macerie di registrazioni conservate nello spirito dei contadini che non buttano via nulla. In questo disco stiamo letteralmente saccheggiando le nostre esperienze precedenti. Abbiamo un nostro vocabolario, un nostro schedario e la disponibilità di una serie di elementi concettuali, accumulati in anni, finalmente messi assieme e pronti per l’uso. Componiamo una canzone alla Mephisto Potato Sauce, mettiamo una ritmica a la Diggin’Fingers, una bella grattugiata di sound alla Muskito e armonie vocali alla Widmann’s Mansion con una spolverata di chitarre in lontananza alla El Brigante, lasciamo riposare un paio d’ore e serviamo con un buon vino rosso!
Com’è la situazione musicale in America? L’artista e la musica contano ancora qualcosa o conta solo ed esclusivamente (come da altre parti ahinoi) il numero di follower e i download?
Si tratta di parametri importanti ma non si deve cadere nel tranello di confondere i parametri con l’artista. Una pop star che non rispetta questi parametri è come un surgelato che resta nel banco frigo del supermercato: verrà prima svenduto e poi tolto dal commercio. Del resto non conosciamo gente che compra l’ultimo di Lady Gaga… in vinile. Un gruppo che vende qualche migliaia di vinili al giorno d’oggi rappresenta un fenomeno a livello mondiale. Un gruppo che vanta passaggi in radio e presenze su palchi importanti senza il supporto di una major rappresenta anch’esso un fenomeno. Quindi esistono altri fattori caratterizzanti. Se uno è una star ad Atlanta che conta 5 milioni di persone è una star anche se ha zero download. Se un musicista fa 250 concerti e vende dischi nel Nord della Francia può senza dubbio ritenere di aver successo anche se non passa per Mtv. In America e in altre parti del mondo la musica è come il pane, e quando hai fame non è certo questione di numero di click!
Se doveste scegliere il brano che più vi rappresenta quale sarebbe e perché?
Mah… probabilmente un brano del prossimo disco chiamato Evil Chef Shuffle Blues, perché lo scoprirete ascoltando l’album 🙂
Cosa dobbiamo aspettarci da Freak Town? Potete anticipare qualcosa per i lettori e fans italiani?
Aspettatevi di cadere dalla sedia per lo stupore e rotolarvi per terra dalla gioia!
All’incirca, quando ci consigliate di prenotare un volo per venire negli States a vedervi live?
Autunno 2015…