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Guida all’acquisto dei dischi in vinile

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Intervista a Lorenzo Cantino di Rock Bottom Records

vinile album

di Alberto Mariotti

Negli ultimi anni il mercato della discografia ha conosciuto una sensibile quanto inaspettata impennata delle vendite di dischi in vinile, una cosa sorprendente considerato che negli anni ’90 questo formato sembrava condannato all’estinzione nel giro di pochi anni, soppiantato dal Compact Disc. Molti giovani appassionati di musica hanno apprezzato molto questa riscoperta dell’analogico e si sono ritrovati in giro per negozi e bancarelle per acquistare musica in vinile. Ma siamo sicuri di avere le giuste competenze per scegliere un disco o anche solo una minima conoscenza dello sterminato universo del collezionismo musicale? Per fare un po’ di chiarezza sull’argomento abbiamo pensato di fare due chiacchiere con Lorenzo Cantino di Rock Bottom Records, negozio di dischi in vinile fiorentino tra i più grandi e importanti in Italia.

 

È sempre possibile capire il grado di usura di un disco guardandolo ad occhio nudo?

Non sempre. A volte i graffi più superficiali sia alla vista che al tatto possono compromettere gravemente la qualità sonora, mentre altri più profondi non pregiudicano affatto l’ascolto. È sempre molto difficile e rischioso valutare, soprattutto quando si hanno in mano delle rarità.

 

È vero che i dischi stampati in determinati Paesi suonano meglio? Da cosa dipende e quali sono questi Paesi?

In generale i Paesi più industrializzati dove le tecniche di pressaggio sono sempre state più all’avanguardia hanno prodotto dischi di qualità sensibilmente superiore, mi riferisco in particolare a Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, addirittura si pensa che alcune stampe nipponiche degli anni ’60 siano ancora insuperate a livello di definizione audio. Dipende anche dalla qualità del materiale, dallo spessore e quindi dal peso del vinile stesso, molte ristampe di adesso infatti pesano 180 se non 200 grammi (il peso medio di un disco in vinile si ferma intorno ai 100 g).

 

Ho sentito dire che a volte i dischi invenduti venivano fusi e poi reincisi con altra musica, penalizzandone l’ascolto, è vero? Se sì, è possibile riconoscerli?

Gira questa voce ma non c’è niente di certo, forse alcune grandi case discografiche lo hanno fatto ma è più probabile che gli invenduti venissero piallati piuttosto che fusi, in quel caso la qualità ne avrebbe risentito soltanto a causa della diminuzione dello spessore. In effetti queste pratiche potrebbero essere state utilizzate a metà degli anni ’70, quando la floridezza del mercato del vinile coincise con la celebre crisi petrolifera di quel periodo, che provocò una penuria di materia prima.

 

Come si riconosce una prima stampa originale? Vale la pena di investire su oggetti del genere?

Noi di Rock Bottom abbiamo investito molto per fornire un archivio il più possibile esauriente, confrontando e intrecciando tutte le fonti a nostra disposizione. Chiaramente Internet ci ha dato un grosso aiuto in questo senso, prima tutti si basavano su una sorta di “passaparola intergenerazionale”. Questi oggetti hanno prima di tutto un certo valore di antiquariato ma in molti casi è l’importanza storica e artistica ad influire sul loro valore commerciale. Alcuni dischi particolarmente significativi dei tardi anni ’60 e in misura minore quelli legati al punk del ’77 possiedono un fascino unico e il loro valore collezionistico può arrivare fino a 1000 euro, come la prima stampa originale di “The Velvet Underground and Nico” con la banana sbucciabile di Andy Warhol in copertina.Per riconoscerli e valutarli ogni dettaglio è importante: un determinato codice sul disco, l’indirizzo della casa discografica al momento della stampa, un eventuale inserto, il colore e il materiale della copertina. Ogni disco ha una storia a sé.

 

Nel caso di dischi privi di una particolare importanza collezionistica, cosa influisce sul loro valore a parte le condizioni della copertina e del vinile stesso? Qual è il prezzo ideale per questo tipo di dischi? Ad esempio una ristampa olandese del 1983 di “The Rise and Fall of Ziggy Stardust” di David Bowie, usata ma in ottime condizioni…

Ovviamente nel caso specifico di  Ziggy Stardust, che è uno dei dischi fondamentali della carriera di Bowie, il suo prezzo può variare tra i 15 e i 20 euro se in buone condizioni, ma in generale è questo è il range su cui basarsi se l’oggetto è conservato particolarmente bene. A noi capitano molti dischi di artisti quasi sconosciuti che però riteniamo molto influenti o addirittura seminali per il loro valore storico-artistico, in questo caso tendiamo a venderli ad un prezzo leggermente superiore, cercando in qualche modo di rendere giustizia a queste opere ingiustamente sottovalutate.

 

Consigli la musica in vinile rispetto a quella su cd anche se registrata completamente con tecniche e strumentazione digitali? Perchè?

Per quanto mi riguarda il vinile ha anche un valore romantico perché ci sono cresciuto, ma non solo, tutte le volte che ho provato a comparare la stessa registrazione in cd e vinile dalla stessa sorgente sonora il suono di quest’ultimo risultava sempre più dinamico (vengono utilizzati sistemi di compressione audio diversi tra analogico e digitale) e quindi più autentico. Per questo anche se la fonte è digitale la pasta sonora è decisamente superiore nei dischi in vinile.

 

Quali siti o libri consiglieresti a chi volesse approfondire la questione?

Per quanto riguarda l’aspetto prettamente musicale a me piacciono molto i libri di approfondimento editi dalla rivista Blow Up, ce ne sono diversi e ognuno di questi affronta un determinato genere o periodo musicale. Gli archivi web più completi sono sicuramente discogs, che è anche un canale di vendita, e popsike, che contiene tutte le valutazioni delle vendite on-line di dischi in vinile.

 

 

 

 

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