Gruamonte e Pistoia, la città rocciosa
Primi passi verso il movimento
di Riccardo Tronci
– Sulla via dei pellegrini, la mano di uno scultore plasma la raffigurazione di una città, Pistoia, traendo dal suo stesso spirito i caratteri plastici, costruendo un nuovo linguaggio ancora proprio dell’immaginario medievale, misterioso, ma proiettato verso il futuro.
Sappiamo veramente poco di Gruamonte, maestro scultore ed architetto, operante nella seconda metà del XII secolo, tra Pistoia e Lucca. A lui si attribuiscono tre architravi firmati rappresentanti la “Cavalcata ed adorazione dei Magi” nella Pieve di Sant’Andrea, il tema già caro a Guglielmo dell’ “Ultima cena” in San Giovanni Fuorcivitas, e “Cristo tra i dodici apostoli” in San Bartolomeo in Pantano. La mano del maestro romanico si abbina quindi a tre delle chiese erette a monumento dalla città comunale pistoiese, a descriverne i limiti geografici (lungo la prima cerchia di mura della città). Gruamonte attinge “forza e umori dalla terra entro cui pose le fondamenta” (G. Michelucci, Leggere una città), una città “rocciosa e per questo scultorea” come la definì Pietro Bigongiari.
Gruamonte, una vita sconosciuta – Si è a più riprese cercato di dimostrare una origine pisana, pistoiese o d’oltralpe del maestro, ma raramente il nome “Gruamonte” compare in note di archivio; troviamo il suo nome una volta sola a Pistoia, nell’Archivio del Conservatorio di San Giovanni Battista, dove “Malaottus q.Gruamontis”, probabilmente un figlio, il 17 aprile 1208 vende un appezzamento di terra situato in quel di Vignole (come evidenzia Peleo Bacci). La sua firma appare nell’iscrizione della Pieve di Sant’Andrea, dove leggiamo: “Fecit hoc op(us) Gruamons magist(er) bon(us) et Adeodat(us) frater eius” (“Fece questa opera Gruamonte, maestro buono, e Adeodato, suo fratello”). In molti hanno ravvisato nello stile dei caratteri dell’iscrizione un periodo più tardo a quello attribuito all’esecuzione dell’architrave (datata 1166, come ricordato sull’intradosso), teoria che ha portato molti (per primo Vasari) ad accogliere come nome dell’artista esecutore dell’opera “Maestro Buono” piuttosto che Gruamonte (non ultimo Leader Scott, The Cathedral Builders: the story of a great masonic guild).
Molti storici d’arte notano in Gruamonte un allievo di Guglielmo, viste le sue opere nella vicina Pisa ed i richiami del romanico pistoiese con quello pisano (piuttosto che con quello fiorentino come a volte si vorrebbe dimostrare). Si potrebbe probabilmente parlare di un filone scultoreo che, muovendo dalla creatività di Moissac e Cluny, prende a sostenere l’importanza degli elementi scultorei di per se stessi (e non solo come componenti di un nucleo architettonico) anche in Italia, passando da Wiligelmo, Guglielmo, Gruamonte e Biduino. Il passaggio nell’evoluzione artistica nel territorio pistoiese è tutt’altro che “popolare” come alcuni evidenziano, non si tratta di una volgarizzazione dello stile provenzale, ma dell’inizio del cammino che porterà, nel breve ed intenso volgere di tre secoli, a Brunelleschi, Ghiberti e Donatello. Con Gruamonte, Adeodato (e forse anche con il maestro Enrico, attivo probabilmente nella bottega di Gruamonte stesso) si principia quel percorso di reminescenza dell’arte classica ed abbandono della statica ieraticità bizantina, di ricerca di movimento e progressivo liberarsi dell’impianto plastico del telaio architettonico.
Le opere scultoree di Gruamonte sono ancora molto lontane, per confini teorici (e non limiti) intrinseci allo stesso contesto temporale del XII secolo, all’idea di “misura e capacità di pensare ed esporre con chiarezza” che alcuni ravvisano (L.Begliomini su Naturart ): l’immaginario medievale è ancora simbolico e irrazionale, eppure compie in questi anni i primi passi verso la rappresentazione del vero.
Le opere di Gruamonte a Pistoia – Ancora molto forte l’influenza bizantina nella postura frontale e ieratica delle figure dell’architrave di San Giovanni Fuorcivitas, dove undici apostoli siedono accanto a Cristo, mentre Giuda, con chiaro intento didascalico, è inginocchiato davanti alla tavola. E’ il momento dell’Ultima Cena in cui Gesù pronuncia la frase: “Uno di voi mi tradirà“, Giovanni cade in preda allo sconforto e assume una postura reclinata in grembo a Cristo, alcuni degli apostoli si toccano sul petto, come a dire: “Com’è possibile? Sarò io?”. Il panneggio del rivestimento della tavola accompagna ogni figura, come un motivo ripetuto e poco attinente al vero, mentre, nonostante l’utilizzo ancora molto forte del trapano a mano, le figure degli apostoli sono differenziate nei particolari del volto l’una dall’altra.
A Gruamonte è attribuita la progettazione e la realizzazione di tutta la facciata della chiesa, di chiara ispirazione pisana, ed è ben probabile, viste le somiglianze, che lo stesso abbia concepito l’ordinamento esterno anche delle altre due pievi di S. Bartolomeo e S. Andrea. Notizie certe e chiare attribuiscono a Gruamonte anche la parte bassa della facciata della chiesa di San Jacopo maggiore ad Altopascio, la cui decorazione a loggette bicrome rimanda certamente al territorio pistoiese, con particolare riferimento a San Bartolomeo e Sant’Andrea. I disegni bicromi dominano in San Giovanni anche la parte riservata ai conci di pietra nelle altre chiese nominate, determinando un andamento orizzontale del fianco nord (considerato da sempre il più importante, essendo sia facciata che lato absidale nascosti dagli edifici limitrofi) scandito da un ordine di lesene con capitelli, sottostante a due ordini di loggette con inserti di losanghe e tarsie (minuzioso e prezioso motivo ricorrente del romanico pistoiese e, come sottolinea Sanpaolesi, reale distinzione, talvolta tendente a motivi arabeggianti, di questo territorio da quello pisano).
Di un anno successiva la rappresentazione di Cristo tra gli apostoli nell’architrave di San Bartolomeo in Pantano (1167), dove la teoria delle figure, affiancata ai lati da due angeli mostra alcuni esempi di posizione di tre quarti, generando un movimento verso il centro: da posizioni di tre quarti, a frontali e in seguito di profilo. Il panneggio si esprime qui in movimenti differenziati, corpo per corpo, mostrando una maggiore ricerca della fisicità, stagliata su di un prezioso fondo decorativo.
Precedente a questi due esempi è datata l’architrave della Pieve di Sant’Andrea, alla quale avrebbe partecipato anche un “Magister Enricus”, probabilmente facente parte della bottega di Gruamonte. La raffigurazione paratattica mostra prima i Re Magi in viaggio, Erode che ordina la strage degli innocenti e l’Adorazione. Nella parte centrale si scorge Erode con un messaggero inginocchiato, scena interpretata da alcuni con l’ordine della strage e da altri con l’annuncio dell’arrivo dei Magi.
Tendiamo a individuare nella prima supposizione quella più corretta, dopo aver analizzato la raffigurazione del trono di Erode, nel quale si può scorgere un drago nell’atto di mangiare un bambino. La decorazione dello sfondo è molto ricca e fa immediatamente pensare ai modi di Guglielmo nel Pulpito cagliaritano (precedentemente a Pisa); le figure sono in posizione ieratica, la mano che le ha scolpite non mostra alcuna volontà di portarle fuori dal blocco di marmo e tuttavia nel panneggio del mantello dei Magi si svela una precisa volontà di movimento. Da questa architrave comincia la complessa e tortuosa vicenda dell’arte scultorea dell’umanesimo e sicuramente Gruamonte e Adeodato posano un seme che non tarderà a dare frutti, primo tra tutti, negli stessi territori pisano e pistoiese, Nicola Pisano.
Gruamonte oggi – Chi abbia visitato negli ultimi anni il Louvre avrà certamente notato un continuo flusso di persone migrare verso la Gioconda con tanto di “Il codice Da Vinci” di Dan Brown sotto braccio. Quel tipo di fantasioso e poco ortodosso interesse si trasforma spesso in pericolosa attitudine ad analisi grossolane e tutt’altro che empiriche. Gruamonte non è stato pietosamente risparmiato da tali incursioni barbare e lo troviamo al centro dell’indagine di Iacopo Fo su Leonardo, che avrebbe dipinto nel Cenacolo delle Grazie, al fianco di Cristo, la Maddalena, e non Giovanni. Ignorando completamente la tradizione iconografica che vuole Giovanni dipinto con caratteristiche quasi femminili, Iacopo Fo procede sul filone di Dan Brown, sottolineando come solitamente “la Maddalena” sia anche l’unica raffigurata distesa, in grembo a Cristo. Se non è così in Leonardo (dipingere una donna sdraiata al fianco del Salvatore ”sarebbe stato troppo”) è così in Gruamonte. Peccato ci si scordi del semplicissimo fatto che le raffigurazioni medievali hanno un preciso intento didascalico e che proprio per questo ogni personaggio sia costantemente rappresentato con le medesime caratteristiche, così da renderne facile l’identificazione da un pubblico solitamente analfabeta. Per cui, ad esempio, San Girolamo verrà sempre raffigurato accanto a un leone e San Giovanni durante l’Ultima Cena, come leggiamo nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, disteso in grembo a Cristo.
E ancora Iacopo Fo sostiene erroneamente che il numero degli apostoli raffigurato da Gruamonte in S. Giovanni Fuorcivitas è composto di undici persone e non dodici (ma Giuda è inginocchiato davanti alla tavola, separato dal resto del gruppo), attribuendo tale raffigurazione alla forte influenza dei vangeli apocrifi ().
E ancora Begliomini su Naturart, sbaglia il nome di Adeodato, fratello di Gruamonte, con Deodato, e attribuisce ai dodici apostoli raffigurati nell’architrave di San Bartolomeo in Pantano la parentela con i dodici segni zodiacali: “nell’atto di ricevere da Gesù l’incarico di predicare il vangelo, e allo stesso tempo rappresentano i cicli cosmici in cui gli apostoli evocano i segni zodiacali” dando peraltro per assodata e diffusa questa teoria, evitando accuratamente di dimostrarla (per quanto ci risulta, presente per la prima tra rarissime volte, nel breviaro di Belleville del XIV secolo).