Il capitano Bruno Mallart vi augura buon viaggio sul limone volante
di Riccardo Tronci
Bruno Mallart. Tutti (?) lo conoscono, tutti lo citano, abbiamo tutti letto un libro con le sue illustrazioni, ma solo su ZestToday l’impresa titanica di farne il primo articolo in rete in italiano, l’unico che parli esclusivamente di lui e non della sua interpretazione di Calvino. Salite a bordo della teiera volante, preparatevi a un viaggio onirico che vi aiuterà a curare lo spirito, e se non ci riusciremo potrete sempre seguire i consigli di Sancho Panza, tra qualche riga.
Di solito accompagniamo le persone su peperone volante, in virtù della sua maggiore capienza, ma se preferite il limone volante, nessun problema, staremo solo un poco più stretti. Due oggetti a forma di cerchio, somiglianti a due sveglie collegate a guisa di proiettore sono il motore a cui ci affideremo per fare luce su un mondo sconosciuto ai più, ovvio che ci serviremo di tre eliche per volare.
Il primo nome a cui verrebbe da accomunare Bruno Mallart è quello di Hyeronimus Bosch, vista la comune attenzione per il più infinitesimale dettaglio, per la capacità di concepire realtà assurde e grottesche, spesso abitate dalla presenza di “piccoli uomini” alti quanto una mano. Tuttavia se in Bosch la finzione denuncia la follia, come aperto crimine, come bestemmia contro il creato, se vede nella pazzia un qualcosa da allontanare con metodiche barbare (dall’estrazione della pietra alla nave dei folli), Mallart narra le vicende di un mondo “semplicemente” onirico, ispirato al nostro, spesso mettendo a nudo critiche o esaltando persone e valori.
E le virgolette su “semplicemente” sono d’obbligo. Perché Mallart ci introduce in un mondo che non siamo nemmeno preparati a vedere, che ci colpisce e ci lascia attoniti, colpiti da esistenze insospettabili, concepite in maniera così definita da crederle vere.
Proprio a Bosch si richiama nel suo trittico, ispirato completamente al “Giardino delle Delizie” del primo. Lo chiama “il giardino del delirio” e analizza il suo personalissimo Paradiso (dove si intravede anche la tentazione, l’inganno dell’albero che divide ed unisce Adamo ed Eva), il suo inferno e al centro la vita, un rincorrersi di genialità e tentativi sempre sottoposti all’occhio vigile divino. Troviamo sempre qualcosa del maestro olandese anche nel “Piccolo teatro di anatomia”, ma ad essere esaltata è anche la componente didascalica, che ci porta alla mente i codici leonardeschi, ricchi di disegni e relative annotazioni.
Di cosa è fatto l’uomo? È il cuore a comandare la vita cerebrale, è il cuore a dare gli input e ad essere tirato da ogni parte, al centro di una sorta di sparuto parlamento, composto di saggi filosofi e scheletri, mostri demoniaci (incubi, paure?) e pipistrelli, tutto posto sotto stretta sorveglianza del tempo, rappresentato da una cipolla da taschino e dall’albero della vita, in corrispondenza. Lo studio anatomico prosegue, mostrando l’uomo su di un pavimento a scacchi. Sul piede una spiegazione “robotica” del movimento umano.
Abbandoniamo il limone volante e seguiteci a bordo del cetriolo, volante, anch’esso, ma luminoso. Le sue molteplici lampadine ci serviranno a fare luce sulle sfaccettature della realtà. Il veicolo che vedete alla vostra sinistra, il tubetto di tempera volante, è solo un prototipo, per questo preferiamo farvi salire sul più lento, ma sicuro, cetriolo.
Al centro di tutto, signori e signore, è la musica. Forse non vi sembrerà una grande scoperta, ma quello che intendiamo dirvi è che la musica è proprio strumento di movimento fisico. Così si muove, infatti, il rinoceronte, grazie a un organetto a manovella interiore, che regola nella fattispecie tutte le sue attività. Ed è attraverso un cavallo dalla testa di trombone e dalla coda di piano, che si porta la musica a castello.
O se non la musica, comunque, l’espressione. Ce lo suggerisce un toro, dal volto di macchina da scrivere e dal corpo inciso di carte geografiche. Scrivere è narrare la propria storia, per quanto possa essere una continua lotta contro i mulini a vento, in compagnia di un antipatico Don Chisciotte. Il nobile Sancho Panza semplicemente beve e dice: “Fratello, bevi anche tu, che la vita è breve”, ottenendo in risposta “Ogni suggerimento dato da un povero, per quanto saggio, non merita di essere ascoltato”.
Le strabilianti e visionarie invenzioni di Bruno Mallart ci appaiono come vere, o quantomeno verosimili. Questo perché derivano da un’antica tradizione che vede le radici non solo in Bosch, ma negli stessi codici miniati medievali, nella tendenza a rappresentare il significato più che il significante. Il didascalico prima del vero. Sono realizzate in tecniche differenti, accomunate tutte dalla presenza del collage.
Bruno Mallart nasce nel 1963 e il suo percorso inizia con la scuola superiore di Arti Grafiche di Penninghen, dove ha trovato come primi maestri: Roman Cieslewicz, Peter Knapp e Jean Perret. Le illustrazioni diventano il suo campo dal 1986, unendosi tre anni dopo al gruppo France – Illustrazioni.
Gli esordi sono talentuosi, ma non così originali come la virata espressa dal 1990, attuato dopo aver preso conoscenza dei lavori di Saul Steinberg e Tullio Pericoli: è la rivelazione, l’arte grafica intesa come scrittura, in cui fondere registri differenti, come pittura, acquerello e matita, mischiandoli liberamente con oggetti di uso quotidiano, creando universi e mondi onirici.
Per quanto refrattario ai computer e all’epoca contemporanea, un giorno la sua vita si incrocia con quella di Photoshop. E la sua arte prende nuova energia, sviluppandosi a tutto tondo nelle più recenti e stupefacenti “opere d’arte digitale”.Le sue opere sono commissionate dai maggiori giornali mondiali, come il New York Times e Wall Street Journal, ed esposte nella Galleria Bayart di Parigi.