Umberto Eco e le legioni di imbecilli parte 2
di Riccardo Tronci
Umberto Eco e gli imbecilli. Umberto Eco e legioni di imbecilli. Un argomento su cui ridere e discorrere sotto l’ombrellone, specie dopo la replica/scusa dell’intellettuale. Forse parlava dopo aver bevuto due o tre bicchieri di rosso, forse credeva di essere al bar, forse avremmo dovuto essere presenti per giudicare in toto. Fatto sta che oggi Umberto Eco si è “giustificato” nella sua “Bustina di Minerva” (un titolo capolavoro, geniale), e provare a darsi ragione quando si ha torto, in rete, diventa un pericoloso e grottesco arrampicarsi sugli specchi.
Veniamo ai fatti. Nel nuovo articolo(che trovate qui: http://espresso.repubblica.it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2015/06/24/news/un-appello-alla-stampa-responsabile-1.218531), Eco dichiara di essersi divertito molto con la faccenda degli imbecilli: “Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del pianeta ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar – e così le loro opinioni rimanevano limitate a una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social networks. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli.
Si noti che nella mia nozione di imbecille non c’erano connotazioni razzistiche. Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni) ma una persona che è un ottimo droghiere, un ottimo chirurgo, un ottimo impiegato di banca può, su argomenti su cui non è competente, o su cui non ha ragionato abbastanza, dire delle stupidaggini. Anche perché le reazioni sul web sono fatte a caldo, senza che si abbia avuto il tempo di riflettere (…) Addirittura, qualcuno aveva riportato che secondo me in rete hanno la stessa evidenza le opinioni di uno sciocco e quelle di un premio Nobel”.
Il cammeo per rimediare ad un errore di comunicazione (tutti sbagliano, ahimè, anche gli dei), è quantomeno articolato. Si inizia dicendo una banalità: la terra è piena di imbecilli. Chi non concorda, temo, è un imbecille. Prima gli imbecilli comunicavano al bar, ora sui networks accedono ad una vasta audio. Ma, sottolinea, imbecilli è un vocabolo quasi buono, usato per simulare “ignorante” in un dato campo.
Niente di più sbagliato. Come avrete modo di sentire, se volete, dall’estratto che Repubblica ha pubblicato in formato video della conferenza stampa di Umberto Eco (lo trovate qui: http://video.repubblica.it/tecno-e-scienze/umberto-eco-e-i-social-danno-diritto-di-parola-a-legioni-di-imbecilli/203952/203032), le parole sono meno positive. In primo luogo un social “d’altro canto fa sì che dà diritto di parola a legioni di imbecilli. I quali prima parlavano solo al bar, dopo due o tre bicchieri di rosso, e quindi non danneggiavano la società.”
Gli imbecilli in causa, quindi non sono ignoranti in materia, ma gente che parla solo dopo aver ingerito un buon quantitativo di rosso, o quantomeno tale da liberare dai freni la lingua. Gente che parlava solo al bar. Difficile vedere in questa descrizione un “ottimo chirurgo”. Ma tant’è, tutto può essere.
“ (…) Son della gente che di solito veniva messa a tacere dai compagni (qui espressione dialettale non chiaramente comprensibile che finisce con “stupidi”) e che adesso, invece, ha lo stesso diritto di parola di un premio Nobel, e, ecco il filtraggio, uno non sa se sta parlando il premio Nobel o…”
Venivano messi a tacere. Un chirurgo la sera si reca al bar a prendere uno spritz per passare da imbecille ed essere zittito dall’amico radiologo.
Uno non sa se sta parlando il premio Nobel o Riccardo Tronci. Ergo le opinioni di Eco, di Renzi, di Samantha Cristoforetti o Tronci hanno la stessa eco, perdonate il gioco di parole, e la stessa importanza. Perché il veicolo web è strutturato così male da non permettere di riconoscere chi stia parlando. E dire, che, come riportato sopra, nella giustificazione Umberto Eco dice: “Addirittura, qualcuno aveva riportato che secondo me in rete hanno la stessa evidenza le opinioni di uno sciocco e quelle di un premio Nobel”. Addirittura. Addirittura.
Questo caos immane, che concordiamo, in parte esiste, produce la necessità del filtraggio, sostiene Eco. E quindi la necessità che qualcuno si erga sopra tutti, prenda le redini del gioco e recensisca quotidianamente i siti più validi, in modo da segnalarli agli utenti. Con un rilancio anche della carta stampata. Capolavoro di utopia. Ma dovremo forse perdonare Eco, essendo forse a digiuno della materia (non ho detto “imbecille in materia”, nonostante la versione dello scrittore, semiologo, filosofo).
In primo luogo i siti presenti in rete sono davvero troppi. Il solo pensiero di recensire 555 milioni di siti censiti nel 2011 fa impazzire. Nel solo 2011 sono stati creati ben 300 milioni di siti nuovi di zecca. Quante persone dovrebbero servire per controllare e verificare le informazioni, di quale organo stiamo parlando?
Di un giornale, dice Eco. E chi lo dice all’editore di questo giornale che a una media di dieci siti recensiti al giorno per giornalista, con una squadra di cento giornalisti, riuscirebbero a malapena a vagliare 365000 domini all’anno? E se malauguratamente questi siti si ammodernano, si rinnovano? Li dobbiamo analizzare nuovamente? Una catastrofe, insomma.
“È un’impresa certamente costosa, ma sarebbe culturalmente preziosa, e segnerebbe l’inizio di una nuova funzione della stampa.” Conclude Eco. Non è un’impresa costosa è una follia. E se i pochi siti analizzati fossero solo blog su cani e gatti? Dove starebbe l’arricchimento culturale? Se si obietta che il giornalista dovrà controllare solamente siti già reputati validi, o stiamo perdendo tempo, oppure l’analisi, già troppo informale di per sé, rischia di diventare troppo soggettiva. Chi decide che X è più importante di Y? In base a cosa?
In ultimo affidare ai giornali, che pur di battere la concorrenza spesso mostrano immagini false o di repertorio, talvolta cadendo in inganni e sponsorizzando leggende, non potrebbe certo essere il giusto epilogo della battaglia donchisciottiana.
Il filtro esiste già, questo è il punto. E si chiama Google. Il suo algoritmo analizza tutti (TUTTI) i siti on line, quale prima quale dopo, analizza automaticamente le modifiche che vengono fatte su ogni sito, ordina i risultati seguendo i propri parametri. Un’analisi schietta e oggettiva condotta sulla base di centinaia di parametri. Che non è necessariamente detto che portino al risultato migliore, ma è sempre più futuribile pensare che conducano alla risposta ideale per la domanda posta dall’utente. Di conseguenza come fare a trovare un editore che stipendi giornalisti che recensiscano siti già analizzati positivamente (o meno)?