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Recensione – “The Sea Swells a Bit” di Aidan Baker torna in stampa

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aidan baker, the sea swells a bit, cover

di Irene Tempestini

 

Aidan Baker è uno dei più prolifici artisti del panorama musicale mondiale, capace di dare alle stampe album in successione impressionante, talvolta con un solo mese di distanza l’uno dall’altro. Da un po’ di tempo però, Aidan ha rallentato molto le sue produzioni e questo ci dispiace, ma ci fa anche sperare in un ritorno a livelli ancora più alti di quelli a cui ci ha abituati.

Canadese trapiantato a Berlino, a lui si deve la realizzazione di uno degli album più belli e significativi del genere ambient/noise, dal titolo “The Sea Swells a Bit”, uscito nel 2006 e composto da tre lunghe tracce e una live come bonus. A distanza di 9 anni l’album viene ristampato su doppio vinile da Ici d’Ailleurs/Mind Travel e l’artwork, sempre curato da Francis Meslet (Urbex), rispecchia e intensifica la profondità della sua musica.

“The Sea Swells a Bit” rappresenta veramente un punto fermo del genere elettronico e, tra le tante produzioni di Baker, è senza dubbio una delle migliori. Nella prima traccia, che ha il titolo dell’album, l’ambient non è più esclusiva dei droni ma si fa più intima, quasi mistica, e si sposa ad elementi di psichedelia pura.

Alla struttura minimal, con un fulcro unico che si ripete per tutta la durata della suite, si aggiungono un  ritmo quasi impercettibile e alcuni semplici effetti. Emotivamente è come se il nostro Io fluttuasse tra inconscio e coscienza, e contemporaneamente fosse attratto dalla scoperta di spazi inesplorati verso cui aprirsi.

Stessa struttura e stesse emozioni nella seconda, altrettanto lunga, suite dal titolo “When Sailors Die”, che aggiunge alla composizione minimal alcuni ritmi tribali, stimolandoci a ritrovare ed esaudire quei bisogni ancestrali che fanno parte del nostro essere e del nostro vivere. Soundscape e spazi cosmici, lande deserte e voli a planare su paesaggi che non sono altro che proiezioni del nostro serbatoio emotivo più profondo e intimo.

Come un perfetto sciamano, Aidan ci guida a lasciarsi trasportare dai battiti vitali e aprirsi alla vastità del cosmo, seguendo il flusso energetico da lui magistralmente sintetizzato. Una preghiera, un rito, un mantra, un invito ad espiare le nostre colpe e un sostegno per guarire dal nostro male di vivere. Come la prima, anche la seconda suite non punta al fattore sorpresa, visto che si ripete uguale a se stessa per l’intera durata; la straordinarietà sta nella sapienza con cui i pochi effetti scelti riescono a convivere, dando vita ad un viaggio emotivamente stimolante.

E “Davey Jones’ locker”, terzo e ultimo brano, riprende e amplifica gli elementi che caratterizzano l’album, intensificandone l’aspetto ipnotico e ancestrale persistente, con splendidi inserti di pura psichedelia. E’, questo, il brano più alternative, e chiude nel migliore dei modi un lavoro che nutre l’anima , facendoci viaggiare per terre sacre e spirituali, che ci ricordano di quanto l’essere umano sia fatto di carne e spirito, e di come l’arte, in questo caso la musica, riesca a rappacificarli.

La bonus track, con la versione live del brano di apertura, è disarmante per l’incanto con cui i suoni accarezzano la pelle e la permeano, regalandoci irripetibili suggestioni.

Brividi,  dall’inizio alla fine. Un album che suona come una benedizione del cosmo. Torna presto Aidan.

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