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Gioiello Contemporaneo: cronaca di una morte annunciata? Make It Pop!

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museo del Gioiello di Vicenza

di Silvia Valenti

 

Ted Noten Manifesto

1 Ted Noten unconventional jewellery

“Contemporary jewellery is dead”, (Fig. 1) scrive Ted Noten nell’incipit del suo Manifesto  sulla gioielleria contemporanea offrendoci un messaggio di paradossale accezione negativa che ci induce a riflettere con serietà.

Nella sua concisione si rende, infatti, specchio di una tendenza allarmante. Il monile di classica memoria si era già trasformato da decenni in “qualcosa” di diverso: un impeto reazionario, una filosofia esistenziale, un simbolo, una sfida. (Fig. 2)

Durante il processo di emancipazione, però, qualche elemento nel fluire dell’ispirazione creativa è naufragato arenandosi sulla spiaggia della mera indagine eidetica. Secondo il designer olandese, che ama stupire per sollecitare gli animi, l’elettrocardiogramma piatto delle recenti produzioni fa bella mostra di sé sui muri delle gallerie d’arte, messo sotto vetro e appeso come un inespressivo corpo morto.

Stefan Heuser Human fat pendant

2 Stefan Heuser Human fat pendant

Ted Noten, d’altronde, è conosciuto per i pezzi sfacciati, provocatori e non sempre di facile indossabilità. La sua asserzione estrema, dunque, non è altro che l’ennesimo capitolo di un intenzionale arguire dissacratorio? (Fig. 3)

Ted Noten Acrylic bag

3 Ted Noten Acrylic bag

In parte sì. In parte no.

“Contemporary jewellery is autistic”, ribadisce sempre nello stesso saggio. La gioielleria contemporanea è davvero autistica? Nel senso di autoreferenziale, forse? Il gioiello, ormai frutto di continui ripiegamenti introspettivi, si autocelebra, autodefinisce, autoelegge, massonicamente osannato da quei pochi adepti che intendono e condividono l’identico codice ipercriptico. Senza voler parafrasare l’intero Manifesto, balza agli occhi che l’esasperato autoisolarsi del gioiello contemporaneo e di ciò che lo circonda, ne dichiara ad alta voce la scomparsa. Questa è di sicuro una posizione borderline, che getta però una chiara luce sul triste panorama della nuova oreficeria.

Tuttavia, si può dichiarare deceduta un’arte? Dal momento in cui i suoi autori campano – famosi, semifamosi o sconosciuti -, l’assioma di base ci predispone a decretarne l’esistenza.Ebbene, il gioiello contemporaneo non è morto! Si è solo rannicchiato in un mercato esclusivo nascondendosi ai più.

In quest’ultimo anno ho bazzicato tra libri, articoli, sacri testi, testi meno sacri, mostre, fiere, orafi, scultori, connoisseur, critici, pseudocritici, collezionisti, conscia di aver sondato solo una minuscola parte della punta di un gigantesco, smisurato iceberg. Certo è che sul gioiello contemporaneo non sono proprio stati versati fiumi di inchiostro, e altrettanto lampante risulta una carenza di letteratura dedicata. Ted Noten esplicita senza mezzi termini un dissolvimento del valore ludico e intrinseco del gioiello. Muove così le acque, suscitando un fervido dialogo. E ciò assieme ad alcuni altri specialisti illuminati quali Liesbeth den Besten e la nostra attivissima Alba Cappellieri . Il punto dolente della questione è che nel tentativo di evidenziare qualcosa di prezioso tendiamo a ghettizzarlo, a renderlo cibo prelibato per pochi palati. Il grande valore aggiunto dell’arte sta nella sua divulgazione. Ha bisogno di una patina attraente che la renda desiderabile. Da parte di tutti. La strada per arrivarci è quella dell’informazione allargata su presupposti formativi specifici.

Questo è quanto sta costruendo Alba Cappellieri in Italia: una rete di contatti tra i vari interlocutori del settore per definire lo scenario d’azione. Grazie ai suoi studi e a un progetto di intercomunicazione che spazi dall’artigianato alla grande filiera del design industriale, toccando anche la moda, il costume, la storia, ha creato i presupposti di una proficua innovazione. Il neocostituito Museo del Gioiello di Vicenza ne è la prova!

Il gioiello contemporaneo italiano ha una tradizione lunga, complessa, affascinante e ha dato vita a realtà produttive di matrice artistica e industriale. La sua quotidianità, pertanto, è più articolata rispetto a quella del Nord Europa dove la produzione è appannaggio solo del singolo autore. I termini dell’equazione però, anche se spostati, non mutano: il grande designer Gijs Bakker non ha mai fatto mistero di quanto fosse deluso dall’allure elitaria che un certo tipo di gioiello contemporaneo stava assumendo. Egli ha sempre proposto, infatti, l’incontro con il vasto pubblico sia in termini di comprensibilità che economici.

Ma procediamo con ordine.In uno sguardo a volo d’uccello da Nord a Sud passiamo attraverso approcci e visioni differenti. Il Nord Europa vanta una tradizione relativamente giovane e vivace in cui il gioiello d’autore è la forte risposta a quella italiana fondata su un sapere ricco e poliedrico acquisito in una tribolata sequenza di mutamenti. (Fig. 5, 6, 7)

Mario Pinton, spilla oro e rubino

5 Mario Pinton, spilla oro e rubino

Francesco Pavan, spilla oro

6 Francesco Pavan, spilla oro

Giovanni Corvaja, The Golden Fleece.

7 Giovanni Corvaja, The Golden Fleece.

Liesbeth den Besten, classificando lo status quo del gioiello contemporaneo in sei tipologie, ci aiuta a entrare in contatto con un mondo in cui, comunque, i raggruppamenti provocano dubbi e perplessità, ma sono illuminanti per scoprire che sotto i nostri occhi si dischiude un universo non del tutto esplorato. Contemporary jewellery, Studio jewellery, Art jewellery, Research jewellery, Jewellery design e Author jewellery potrebbero essere la risposta alle domande ricorrenti che tanti orafi si fanno cercando disperatamente il loro corretto posizionamento in un mercato della creatività di cui è difficilissimo imparare le regole. La den Besten annota, inoltre, che negli ultimi cinquant’anni il gioiello è diventato una pratica artistica personale molto legata alla ricerca, sempre più vicina alla fotografia, alle installazioni, alla video arte e alle performance, pur non dovendo condividere con esse la medesima libertà espressiva. Le arti visive denunciano per lo più la corruzione guasta del mondo con messaggi di orrore, disgusto e avversione. Il gioiello di contro, nel suo vero linguaggio, dovrebbe mantenere almeno una parte dell’atavica natura di ornamento. Non dovrebbe denudarsi del tutto. Eppure, l’intuizione folle di alcuni sfugge comunque all’incasellamento tipico di menti analitiche e ci propone una visione del gioiello che con il gioiello non ha molto a che fare, tranne per i materiali nobili con cui viene costruito. E’ il caso delle opere psiconeuroprovocative di Lauren Kalman, finalista dell’Art Jewelry Forum Artist Award. (Fig. 8)

Lauren Kalman, Devices for Filling a Void

8 Lauren Kalman, Devices for Filling a Void

E qui sfido chiunque a dare una collocazione al suo lavoro. E non lo dico perché non comprendo questo tipo di arte, o perché ne rimango sconvolta. Penso che nell’uomo sia insita la tensione allo sperimentare e conoscere attraverso la mimesi. Penso che il lavoro della Kalman sia incredibile e che vada al di là della provocazione fine a se stessa. La sua ricerca travalica i confini della neuropsichiatria mostrando le reazioni del corpo e suscitando nel pubblico una catena di emozioni contrastanti e inquietanti. Quasi una performing art sensista che usa il significante del gioiello come pretesto. E’ lecito di conseguenza sentirsi usurpati quando oggetti simili sono considerati al top internazionale dell’oreficeria?

Non sbagliamo se accettiamo il riconoscimento di uno studio sull’aberrazione socio-culturale che rientra nei canoni generali dell’arte come espressione, sbagliamo invece se ne avalliamo la scelta come risultato di un fare squisitamente orafo. Il nostro corpo risponde agli stimoli e la libertà dell’arte è conclamata, tuttavia gli eccessi peccano di morbosi concettualismi ponendo confini e sfociando nell’incomunicabilità. Qualcuno dovrebbe mettersi a disposizione per stilare sottotitoli e didascalie esplicative! Ci siamo chiusi in una nicchia tanto piccola da faticare a uscirne. Allora il famigerato gioiello contemporaneo vogliamo o no renderlo POP?

Popolare, riconosciuto come forma d’arte, accolto e compreso, studiato e sostenuto, valorizzato e accompagnato da una maggiore consapevolezza. Niente più approssimazioni, solo seria e volenterosa accettazione di un nuovo panorama che abbracci una Koinè globalizzata. Utopia? Magari oggi sembra impossibile, ma domani? A Vicenza il 24 dicembre p.v. aprirà le porte il primo Museo del gioiello. Non è questo un bell’inizio?

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